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Spazio, riflessi di ghiaccio su Marte

di Gigi Donelli

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2 GIUGNO 2008

Per vedere il primo ghiaccio marziano, forse non sarà stato nemmeno necessario scavare. Il successo della missione Phoenix lanciata 10 mesi fa dalla Nasa, sembra ora a portata di braccio robotico. Una fotografia scattata nell'artico marziano dal lander - per verificare di aver messo in buona posizione le sue tre gambe metalliche - ha messo in luce una superficie piatta e riflettente, che alla Nasa guardano ora come fosse l'indicazione verso una terra promessa. Sono due placche, grandi circa un metro quadrato ciascuno, ma sono contigue, chiare, piatte e circondate ai bordi dal terriccio rosso rimosso dai retro-razzi che il 26 maggio hanno frenato l'atterraggio della navicella sul Pianeta Rosso. Insomma, i motori hanno soffiato via lo strato di terriccio e polvere che ricopre una superficie chiara, levigata e riflettente. Proprio come il ghiaccio (immagine 1). La copertura dei ghiacciai è un evento corrente: succede regolarmente anche sul nostro pianeta. I terrestri fanno la coda per l'islandese Vatnajokull, enorme distesa di ghiaccio nero come la polvere vulcanica portata dal vento che lo ricopre. La foto mandata a terra da Phoneix è stata scatta nel quinto sol (il giorno marziano che dura 24ore e 36minuti) della missione. E' arrivata ancor prima che il braccio meccanico si mettesse al lavoro, e ha letteralmente arrestato il respiro ai tecnici dell'Università dell'Arizona che hanno ideato la missione Phoenix per conto della Nasa.

Un'impronta che diventa chiara
La parola d'ordine ora è stare calmi e non fare errori. Non ci sono prove e, dopotutto, trovare una superficie di ghiaccio marziano non significa avere quelle tracce di vita biologica intrappolata nel ghiaccio che renderebbero davvero storica questa missione. Al quartier generale insediato al Jet Propulsione Laboratory di Pasadena, provano dunque a darsi un tono, anche se Phoenix continua a essere in vena di regali ed emozioni. Per festeggiare la prima settimana su Marte la telecamera posta sul braccio meccanico spedisce a Terra una conferma (immagine 2): sul terreno polveroso c'è ora una singola impronta che già chiamano "Yeti". Stretta al tallone si allarga aprendosi su quattro dita protese in avanti. E' la piccola benna mordente di Phoenix, la parte finale del braccio meccanico che tocca timidamente il terreno per un primo contatto e, subito, lascia una traccia più chiara nei punti di pressione. A Fine giornata è arrivata la "Regina delle Nevi", uno scatto che ha evocato negli scienziati la memoria di una fiaba di Hans Crhistian Andersen (immagine 3). Probabilmente sotto la polvere rossa non ci sarà il palazzo fatato del racconto, ma quell'imbuto che scivola liscio e arrotondato all'interno del terreno sembra tanto la memoria congelata di uno stato liquido precedente. Ad ogni scatto la sensazione di aver raggiunto un ottimo sito di atterraggio prende corpo.

Non è detto che sia ghiaccio
Per il responsabile scientifico della missione, Peter Smith dell'università dell' Arizona, è probabile che il ghiaccio si trovi a una profondità compresa fra cinque a 15 centimetri. ''Non è impossibile - ha detto - che possa trattarsi di qualcos'altro, ma la nostra prima ipotesi è che sia ghiaccio''. Come dire, l'ipotesi che proprio nel gelo dei 67° di latitudine nord del pianeta Marte (immagine 4) ci sia una strato roccioso chiaro capace di beffare i migliori scienziati terrestri non è da escludere del tutto ma sembra poco probabile. Il tedesco Horst Uwe Keller, dell'Istituto tedesco Max Planck per la ricerca sul Sistema solare e responsabile della fotocamera commenta lapidario: ''Le immagini suggeriscono che potrebbe esserci una distesa di ghiaccio sotto uno strato di terreno sottile e poco compatto''.

Scavare, sciogliere, analizzare
Per sapere con cosa davvero abbiamo a che fare serve che il braccio meccanico faccia il suo lavoro. Potrebbe essere questione di ore. Phoenix è un robot sofisticato che ospita tutti gli elementi costruiti su misura per analizzare ciò che il braccio raccoglie. Grattare, scavare, sollevare un campione, portarlo sulla base della navicella, inserirlo in un piccolo forno che dovrà sciogliere il materiale e metterlo a disposizione degli strumenti di analisi. Prima, però, si dovrà risolvere il corto circuito che due giorni fa ha bloccato lo spettrometro del laboratorio di bordo, indispensabile per gli esami. Inutile dire che nella solitudine del pianeta lontano centinaia di milioni di chilometri, Phoenix dovrà cavarsela da solo.

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